Le caratteristiche organolettiche del vino non sono le uniche a definire ciò che consideriamo vino: a queste si accompagnano sempre una carica simbolica e una valenza sociale, un percorso simbolico e di significato che continua anche dopo che in vino viene deglutito.
Il gusto è in concreto un “fatto sociale” particolarmente complesso e identificabile come una forma plastica di rappresentazione collettiva (cfr Lucio Meglio). Il gusto non è soltanto qualcosa di personale, il legame con il nostro vino preferito non è solo una questione di gusto personale, ma è anche una questione sociale, politica ed etica.
L’esperienza sensoriale viene rielaborata socialmente attraverso una struttura culturale collettiva, per cui la “formazione” del gusto non avviene solo ed esclusivamente a livello corporeo e individuale.
L’antropologia sensoriale (analisi antropologica che permette di mantenere distinti le due dimensioni del gusto: quella corporea e quella sensoriale ed esperienziale) è la chiave di lettura per comprendere questa relazione tra gusto e strutture sociali.
Il gusto, ciò che proviamo nell’atto del bere (il vino è relazione, prima tra colui che lo produce e coloro che consumano, in secondo luogo, tra chi beve e il vino bevuto), è un fattore determinante nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui ci procuriamo il vino. Quella sociale è una dimensione che non perde di significato neanche una volta ingerito il vino, che non svanisce, ma si e ci trasforma a livello energetico ma anche psicologico.