Un’idea potente e scomoda è profondamente radicata nella riflessione di Dante Alighieri: se l’uomo è un essere sociale, chi si sottrae ai suoi doveri verso la società non è degno di alcuna considerazione. Questo concetto severo è espresso con la massima forza nel modo in cui Dante tratta una particolare categoria di peccatori: gli Ignavi.
Gli Ignavi sono anime incontrate nell’Antinferno della Divina Commedia, descritte nel Canto III dell’ Inferno. Non si tratta di coloro che hanno compiuto il male, ma di quelle anime che durante la vita non hanno mai agito né nel bene né nel male. Essi non hanno mai osato avere un’idea propria, limitandosi sempre ad adeguarsi.
Il disprezzo di Dante verso gli Ignavi è massimo e completo. Egli li reputa indegni di meritare sia le gioie del Paradiso, sia le pene dell’Inferno. Perché un giudizio così severo? Dal punto di vista teologico, la scelta fra Bene e Male deve obbligatoriamente essere fatta. Non scegliere è di per sé una mancanza grave. Dal punto di vista sociale, nel Medioevo, la vita attiva all’interno del Comune era considerata tappa fondamentale e quasi inevitabile, chi si sottraeva a questo dovere sociale non era degno di alcuna considerazione. L’ignavia, come propensione all’indolenza, alla pigrizia e alla viltà, rappresenta proprio questa inazione morale, questa incapacità di dispiegare forza nelle scelte. È un particolare genere d’inerzia, che è indolenza e codardia.
Queste anime sono definite da Dante come quelle di peccatori “che mai non fur vivi“. Nonostante camminassero sulla terra, non hanno vissuto veramente, attraversando l’esistenza come ombre, senza fare nulla né di buono, né di cattivo, per paura o tornaconto. Evitano di prendere posizioni decise, si nascondono per non assumersi responsabilità.
La pena che subiscono nell’Antinferno riflette perfettamente la loro viltà e inazione tramite la Legge del Contrappasso. Sono costretti a correre nudi per l’eternità inseguendo un’insegna che corre velocissima, punti e feriti da vespe e mosconi, il loro sangue, mescolato alle lacrime, viene succhiato da fastidiosi vermi, l loro destino è tragico: il paradiso non può accoglierli e l’inferno li rifiuta. In vita sono stati vili e per punizione rincorrono un’inutile vessillo. Sono così insignificanti che persino i dannati dell’Inferno si sentirebbero superiori a loro. Virgilio, la guida di Dante, conclude la descrizione di questo luogo e dei suoi abitanti con le parole definitive: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa“. Queste parole sottolineano l’estremo disprezzo per anime considerate così basse da non meritare nemmeno che ci si soffermi a parlarne.
Il concetto di ignavia va oltre la semplice pigrizia; è un’indolenza morale, un’inerzia permanente che impedisce di agire o scegliere. È vicina all’accidia, intesa come avversione all’operare il bene. Questa inazione, questa “ragion pigra”, può portare a un vuoto esistenziale, a un naufragio in un mare di noia, torpore, inerzia, persino una “nausea di esistere”. L’eterno dubbio, la paura di sbagliare, la meschinità morale del non assumersi responsabilità trasformano la vita in un’esistenza “sanza ‘nfamia e sanza lodo“, priva di significato e di scopo.
Di fronte a questa lezione dantesca, siamo invitati a riflettere sulle nostre vite. Stiamo vivendo pienamente o stiamo scivolando nell’inerzia e nella viltà? Stiamo prendendo posizione, agendo, assumendoci responsabilità, o stiamo rincorrendo vessilli senza senso, adattandoci al più forte per paura o convenienza?
La vita ci chiede scelte. Ci chiede di prendere parte, di metterci in gioco, di agire. Potremmo sbagliare, potremmo fallire, persino schierarsi dalla parte del male potrebbe essere considerato meno indegno dell’assoluta inazione morale. Evitare l’ignavia non significa essere sempre vincenti o perfetti, ma significa essere vivi, partecipare attivamente alla costruzione della nostra esistenza e della società.
Non rimandiamo le decisioni importanti. Non nascondiamoci dalla responsabilità. Non lasciamo che la paura o l’indolenza ci trasformino in anime “che mai non fur vivi“, condannate all’insignificanza e all’eterno inseguimento di un vuoto. Agiamo.Scegliamo. Prendiamo posizione. Solo così potremo vivere una vita degna di essere vissuta, lontani dalla triste sorte degli Ignavi a cui Dante riserva il suo più profondo disprezzo.