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Indicazione Geografica Protetta (IGP): la questione dell’origine delle materie prime

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L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) è un riconoscimento europeo volto a tutelare prodotti agricoli e alimentari legati a una specifica area geografica. Questo marchio identifica un prodotto originario di un determinato luogo, regione o paese, al quale è attribuibile una certa qualità, reputazione o altra caratteristica peculiare connessa alla sua origine geografica. La tutela del nome del prodotto contro usi impropri o imitazioni è un obiettivo centrale dell’IGP, garantendo ai consumatori l’autenticità legata al territorio.

Il quadro normativo di riferimento per i prodotti agricoli e alimentari è il Regolamento UE n. 1151/2012, mentre per i vini si fa riferimento alla normativa europea unificata (attualmente il Regolamento UE 2024 sulle DOP e IGP).

Sebbene l’IGP si applichi sia ai prodotti alimentari che ai vini, esistono differenze sostanziali nelle regole che disciplinano questi due settori, in particolare per quanto riguarda l’origine delle materie prime e le fasi di produzione che devono avvenire nella zona geografica delimitata.

IGP per i prodotti alimentari

Per ottenere la certificazione IGP per un prodotto alimentare, è richiesto che almeno una delle fasi di produzione, trasformazione o preparazione si svolga nella zona geografica delimitata. Un aspetto cruciale e distintivo è che la materia prima può provenire anche da fuori della zona geografica indicata, persino da altre regioni o paesi, a condizione che la lavorazione principale avvenga nell’area di riferimento. L’esempio della Bresaola della Valtellina IGP è emblematico: deve essere lavorata nella provincia di Sondrio, ma la carne non deve necessariamente provenire da animali nati o allevati in quella zona. Questo implica che la qualità e la reputazione del prodotto alimentare IGP sono legate alla zona di lavorazione, non necessariamente all’origine della materia prima.

La domanda di registrazione IGP è solitamente presentata da un’associazione di produttori e deve includere un disciplinare di produzione. Questo disciplinare definisce le caratteristiche del prodotto e le modalità di produzione. 

IGP per i vini

Nel settore vinicolo, l’Indicazione Geografica Protetta (IGP), in Italia spesso indicata come IGT, garantisce che il vino provenga da un’area geografica specifica e che alcune sue caratteristiche siano legate all’ambiente di produzione, ma con regole meno restrittive rispetto alle denominazioni DOP (DOC, DOCG).

La normativa per i vini IGP è più rigida riguardo all’origine della materia prima rispetto ai prodotti alimentari. Per un vino IGP, almeno l’85% delle uve utilizzate deve provenire esclusivamente dalla zona geografica delimitata in cui il vino viene prodotto e vinificato. La produzione e la vinificazione devono avvenire nella stessa area geografica indicata dal disciplinare. Questa regola garantisce un legame più stretto tra il vino e il territorio di origine rispetto agli alimenti IGP.

Il disciplinare di produzione del vino IGP definisce le caratteristiche del vino, le varietà di uve ammesse (con maggiore flessibilità rispetto alle DOP), le tecniche di coltivazione e vinificazione, i requisiti chimico-fisici e organolettici e il legame con il territorio.

Differenze principali: materia prima e legame territoriale

La differenza fondamentale tra IGP per prodotti alimentari e IGP per vini risiede nel vincolo sull’origine della materia prima.

AspettoIGP FoodIGP Vino
Origine materia primaPuò provenire anche da fuori zonaAlmeno l’85% delle uve deve provenire dalla zona geografica delimitata
Fasi di produzioneAlmeno una fase (produzione, trasformazione o preparazione) deve avvenire nella zonaProduzione e vinificazione devono avvenire nella zona geografica
Vincolo territorialeMeno rigido, materia prima non necessariamente localePiù rigido, forte legame tra uve e territorio di produzione
EsempioBresaola della Valtellina IGP (lavorazione in zona, materia prima non necessariamente locale)Vini IGP con almeno 85% uve da zona specifica

Mentre l’IGP alimentare consente flessibilità nell’origine delle materie prime, l’IGP vino impone un legame molto più forte tra la materia prima (l’uva) e il territorio di produzione.

Problematiche di informazione al consumatore nell’IGP alimentare

La flessibilità sull’origine delle materie prime per i prodotti alimentari IGP genera spesso confusione e aspetti fuorvianti per il consumatore. Il marchio IGP, infatti, fa pensare a un prodotto locale indissolubilmente legato a un determinato territorio. I consumatori si aspettano intuitivamente che la materia prima di un prodotto IGP, specialmente per qualcosa come il “pomodoro di Pachino” o il “basilico genovese”, sia coltivata nella località indicata. Questa aspettativa, legittima per molti tipi di prodotti, non si applica necessariamente a molti altri prodotti alimentari IGP.

Esempi come la Mortadella di Bologna IGP e la Bresaola della Valtellina IGP dimostrano chiaramente questa problematica. Nonostante siano prodotti iconici con un forte legame storico e di reputazione con le loro aree (Bologna, Valtellina), i loro disciplinari di produzione non pongono alcuna limitazione geografica all’origine delle carni. Le carni di suino per la Mortadella di Bologna IGP possono provenire da varie regioni italiane (Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, etc.) ma anche, e in larga parte, dall’estero, da Paesi come Germania, Spagna e Olanda, poiché il disciplinare definisce solo le parti utilizzabili del suino, non la loro provenienza né le modalità di allevamento. Analogamente, la Bresaola della Valtellina IGP può essere fatta con carne proveniente da Brasile, Austria, Uruguay e Paraguay.

La situazione è aggravata dal fatto che, mentre in Italia dal 1° febbraio 2021 è obbligatorio indicare in etichetta l’origine della carne suina (Paese di nascita, allevamento e macellazione) per la maggior parte dei salumi, questo obbligo non si applica ai prodotti con marchio DOP e IGP. Ciò significa che proprio i prodotti che si fregiano di un marchio di origine geografica sono esentati dalla regola che garantirebbe maggiore trasparenza sull’origine della materia prima principale.

Questa esenzione, unita alla possibilità di apporre la dicitura “Prodotto in Italia” o “Made in Italy” (anche con l’immagine del tricolore) semplicemente perché l’ultima lavorazione (es. stagionatura) è avvenuta in Italia, anche se la materia prima e l’allevamento sono esteri, incrementa al massimo la confusione per il consumatore.

Possibili soluzioni a questa dicotomia e al deficit informativo

La dicotomia tra le regole IGP per alimenti e vini, e in particolare il deficit informativo sull’origine delle materie prime per molti IGP alimentari, solleva la questione di come migliorare la trasparenza e allineare le aspettative del consumatore con la realtà produttiva. Ecco alcune possibili soluzioni.

1. Modifica dei disciplinari di produzione: una soluzione potrebbe essere quella di rendere più stringenti i requisiti sull’origine delle materie prime nei disciplinari di produzione per determinate categorie di prodotti alimentari IGP, in particolare quelli per i quali la provenienza della materia prima è cruciale per la percezione della qualità e del legame territoriale (come nel caso dei salumi). Sebbene l’IGP sia per definizione più flessibile della DOP, una maggiore percentuale di materia prima locale potrebbe essere richiesta, analogamente alla regola dell’85% per i vini.

2. Estensione dell’obbligo di etichettatura dell’origine: estendere l’obbligo di indicare il Paese di nascita, allevamento e macellazione (già in vigore per la maggior parte dei salumi non-DOP/IGP) anche ai prodotti con marchio IGP. Questo fornirebbe al consumatore informazioni chiare e dirette sull’origine della materia prima, permettendogli di fare scelte più consapevoli, al di là del marchio di lavorazione.

3. Maggiore trasparenza nella comunicazione: le aziende produttrici potrebbero adottare una comunicazione più esplicita e chiara sull’origine delle materie prime utilizzate nei loro prodotti IGP, anche quando queste non provengono dalla zona delimitata. Questo potrebbe includere informazioni sul packaging, sui siti web o tramite campagne informative.

Attualmente, ad esempio solo un numero molto limitato di IGP nel settore dei salumi richiede per disciplinare l’uso di carni 100% italiane (come il Lardo di Colonnata IGP e il Salame d’oca di Mortara IGP), mentre altri ammettono o non specificano l’origine, rendendo comune l’uso di carni estere. Affrontare questa discrepanza è fondamentale per garantire che il marchio IGP sia percepito come un’autentica garanzia di qualità e legame, chiaramente definito, con un territorio, sia esso legato alla lavorazione o, quando atteso dal consumatore, anche alla materia prima.

In conclusione, mentre l’IGP per i vini si caratterizza per un forte vincolo sull’origine dell’uva e sulla produzione in loco, l’IGP per i prodotti alimentari è molto più flessibile riguardo alla provenienza della materia prima. Questa flessibilità, pur consentendo la valorizzazione di tecniche di lavorazione tradizionali legate al territorio, crea un significativo divario informativo per il consumatore, specialmente nel settore dei salumi, dove l’origine della carne è spesso percepita come intrinsecamente legata al nome geografico del prodotto. Migliorare la trasparenza sull’origine delle materie prime nei prodotti alimentari IGP appare cruciale per rafforzare la fiducia dei consumatori e garantire la piena coerenza del marchio con le loro aspettative.