Il presenzialismo è definito dal vocabolario Treccani come la “tendenza ad essere sempre presente ad avvenimenti di qualche importanza”, nonché a una miriade di altre manifestazioni pubbliche e private. Quali sono le motivazioni profonde (o, più spesso, superficiali) di tale compulsione e la sua espansione a fasce d’età precedentemente considerate immuni ?
Il presenzialismo, un male moderno?
Nel vasto e mutevole paesaggio della comunicazione e della vita sociale contemporanea, una figura emerge con prepotenza, quasi in ogni dove: il presenzialista. Questa figura incarna la “tendenza ad essere sempre presente”. Non una presenza discreta, s’intende, ma una presenza che si manifesta con zelante partecipazione a “avvenimenti di qualche importanza, a intervenire a manifestazioni pubbliche, a incontri mondani, a dibattiti televisivi, a partecipare a iniziative culturali, e simili”. Si potrebbe quasi considerarla una forma di ubiquità volontaria, un superpotere non richiesto.
Sintomi ed etiologia: perché tanta presenza?
La domanda sorge spontanea: quale forza arcana spinge l’individuo verso questa onnipresenza? La spinta primaria è “per lo più per far parlare di sé”. Ah, la dolce melodia del proprio nome sulla bocca altrui! Seguono a ruota l’esibizionismo, lo snobismo e, last but not least, la pura e semplice vanità. Queste pulsioni, sono particolarmente virulente in “personalità della politica e della cultura”, portando ministri e personaggi pubblici e non solo a peccare spesso di “eccessivo presenzialismo mediatico”. Un quadro clinico desolante, ma tristemente familiare.
Diffusione ed espansione: non solo politici
Se i politici e le figure culturali sono portatori sani (o malati cronici) del presenzialismo, l’osservazione quotidiana suggerisce che il contagio si sia esteso ben oltre queste categorie. Sembra che persino le “giovani generazioni”, armate di smartphone e profili social, abbiano sviluppato forme acute di questa sindrome. Non più solo dibattiti televisivi o incontri mondani fisici; ora la presenza deve essere garantita anche nel cyberspazio, con partecipazioni compulsive a reel, stories, challenge e ogni sorta di “avvenimento” digitale, spesso mosse dalle medesime nobili motivazioni: “far parlare di sé”, “esibizionismo”, “vanità”.
Prognosi e “deriva inevitabile”: dove ci porta tutto questo?
Qual è l'”inevitabile deriva” di questa corsa alla presenza a ogni costo? Se essere presenti diventa più importante dell’essere preparati, se apparire prevale sul fare, la “deriva” potrebbe essere quella di un mondo popolato da figure vuote, echi rimbombanti in teatri affollati, impegnate a “presenziare” senza lasciare traccia di sostanza. Una società in cui la vanità e l’esibizionismo diventano i motori principali rischia di smarrire il valore della profondità, della riflessione, dell’assenza fertile. La “deriva” potrebbe essere, ironicamente, la dissoluzione dell’individuo nell’eccesso della sua stessa presenza.
Il presenzialismo, nella sua definizione più pura, è una manifestazione di insicurezza camuffata da protagonismo. È la paura di non “esserci” che genera la compulsione ad “esserci” sempre e ovunque. Forse la cura risiede nell’audacia dell’assenza? Nel coraggio di non “presenziare” per riscoprire il piacere di “essere”? Il dibattito è aperto, possibilmente… fuori da ogni dibattito televisivo o incontro mondano.